In occasione del debutto di Fabio Armiliato in “Otello” di Giuseppe Verdi, a Liegi, ho avuto modo di incontrarlo per parlare della preparazione di questo ruolo così bello ed allo stesso tempo difficile da costruire. La sua emozione e passione nell’affrontare un nuovo personaggio sono un esempio per ogni artista che debba avvicinarsi ad un debutto importante.
Parlare di Otello in Verdi e Shakespeare significa parlare di un capolavoro assoluto del melodramma e del teatro, quali sono le sue riflessioni riguardo a questa grande tragedia?
Otello segna un momento decisivo nella vita artistica di un tenore e penso anche di un attore; Verdi ha cominciato la sua versione di Otello con una tempesta di fortissimo impatto musicale e quasi a preannunciare la tragedia interiore di Otello tormentato dai dubbi e dalla gelosia. Sicuramente è un punto d’arrivo per un tenore e non solo vocalmente, Verdi richiede qui uno sforzo interpretativo maggiore mentre in altri casi era più vocale; bisogna ricordare l’importanza dell’influenza musicale che Arrigo Boito, librettista di Otello e poi di Falstaff, ebbe sui compositori italiani della giovane scuola e sull’ultimo Verdi per la grande ammirazione che aveva per Wagner ed esempi di questa influenza si possono trovare secondo me anche in Gioconda.
Otello come colossale impegno vocale ma anche come uomo, qual è per lei l’aspetto più interessante nel personaggio?
Indubbiamente l’aspetto vocale mi affascina molto ma la lettura interpretativa è più complicata e per me indirizzata più all’Otello come uomo e non come eroe, il suo è un dramma universale che prescinde dallo spazio e dal tempo in cui è ambientata la storia e questo lo sapeva anche Shakespeare che in ogni suo lavoro ha sempre cercato di incarnare sentimenti e situazioni universalmente valide, calate poi in un contesto storico o fiabesco che fosse. In Otello si trova l’amore appassionato, la gelosia, l’odio, l’arrivismo politico in Jago, l’omicidio…c’è tutto ciò che un uomo può sperimentare nella propria vita e questo è un caso unico almeno per i personaggi che finora ho affrontato.
E scenicamente come sarà il suo Otello?
Un Otello un po’ diverso da come viene rappresentato di solito, non un africano ma più un arabo, moresco; tra l’altro mi viene a mente un aneddoto della vita di Verdi a proposito della sua concezione scenica di Otello. Mentre scriveva l’opera andò ad assistere ad una recita del dramma di Shakespeare con Tommaso Salvini come protagonista e gli piacque per l’asciuttezza di tratti e la scioltezza recitativa, caratteristiche in cui mi sono rivisto.
Torniamo su un argomento sfiorato anche prima e cioè le difficoltà di Otello, sono più quelle vocali o quelle interpretative?
Per quanto mi riguarda preparare la parte vocale di Otello è più semplice che entrare nel personaggio, occorre più un grande artista che un grande vocalista. La lunga esperienza di palcoscenico aiuta a raggiungere la propria mèta interpretativa, si inizia in maniera eroica con l’”Esultate!”, si prosegue con l’autorità del governatore con “Abbasso le spade” e si finisce il primo atto nell’espressione pura dell’amore per Desdemona. Già qui si trovano almeno tre stati d’animo differenti che poi si moltiplicheranno negli atti successivi, per arrivare al terzo che un turbine di emozioni contrastanti. Vocalmente è difficile realizzare, così come Verdi lo scrive, il declamato presente in molti punti dello spartito e su un registro medio che bisogna fare attenzione a non gonfiare per evitare ripercussioni sul registro acuto. Tra i ruoli verdiani che ho affrontato sicuramente Radames in “Aida” è vocalmente più pesante perché si sviluppa in tessitura più acuta.
E per quanto riguarda Il trovatore?
A dir la verità Manrico non è poi così faticoso come Radames o altri personaggi verdiani e questo semplicemente perché Verdi lo scrisse in un periodo in cui il belcanto donizettiano era ancora il campo specialistico di molti cantanti, infatti nella tessitura di Manrico non si trovano salti troppo bruschi o frasi di estrema drammaticità ma si svolge tutta su un registro medio considerando poi il fatto che le puntature, che vengono tradizionalmente eseguite, a “deserto sulla terra”, alla fine del secondo atto e nella “pira” non sono scritte da Verdi ma aggiunte dai tenori nel tempo e divenute ormai una inevitabile costante. Paradossalmente sono gli esterni di Manrico i brani più temibili, appunto “Deserto sulla terra” e gli interventi nel Miserere scritti per una zona della voce (registro di passaggio-registro acuto) che è più difficile da sostenere ma che, cantando fuori scena, ha un suono più incisivo che arriva allo spettatore. Posso dire lo stesso di “Cielo di stelle orbato” dal Simon Boccanegra.
Cosa può dirmi del rapporto di Franco Corelli con Otello? Nell’ultima parte della carriera, fine anni ’60 ed anni’70, si dedicò a ruoli lirici come Macduff, Rodolfo, Edgardo, Roméo…oltre a mantenere i vari Calaf, Don Josè…perché secondo lei non si spinse verso ruoli drammatici che ormai avrebbe potuto affrontare senza alcun problema?
La domanda che mi fai è molto interessante e mi consente di parlare di Franco, una delle persone che più hanno contato per me dal punto di vista artistico ed umano. Il suo rimpianto più grande era non aver mai affrontato Otello, che pure gli avevano proposto molte volte, ne Manon Lescaut che è vocalmente forse molto più insidiosa; di Otello aveva già in programma la registrazione per la EMI con Mirella Freni come Desdemona che poi purtroppo cancellò e venne invece realizzata da James McCracken e Gwyneth Jones. Con me Corelli è stato una persona meravigliosa: ricordo i consigli che mi dette in occasione del mio debutto al Metropolitan di New York con Il Trovatore nel 1992. Amava molto Verdi e Otello era però per lui un banco di prova enorme non per la vocalità che non aveva paura di sfidare ma perché nutriva una così grande ammirazione per l’interpretazione del suo amico Del Monaco che non voleva porsi ad un confronto inevitabile. Personalmente credo che Corelli avesse in fondo un’anima romantica che lo portò a fine carriera a preferire di affrontare addirittura ruoli più lirici e torturati, come per esempio Edgardo e Werther, anzichè cimentarsi in ruoli più epici come appunto Otello o Sansone.
Inevitabile chiedere una riflessione sugli Otello del passato.
Intanto voglio dirti che il mio Otello sarà plasmato sulle mie possibilità e capacità, quindi con la mia generosità vocale darò sfogo ai punti di puro canto senza forzare nel declamato che, come dicevo prima, è lo sbaglio maggiore perché va ad intaccare il registro acuto e risolverò scenicamente il personaggio basandomi sulla figura di Uomo e non di eroe. Tra gli Otelli del passato è doveroso ricordare Mario del Monaco che è stato Otello per poco meno di 500 volte ed ha lasciato testimonianza di una voce, un temperamento fuori dal comune...
Però secondo me in alcuni punti Del Monaco spinge troppo la voce invece di modulare come richiederebbe anche Verdi, non so se lei è d’accordo.
…su questo si può riflettere, infatti l’Otello di Del Monaco è giocato più sul piano vocale che interpretativo mentre il suo diretto successore, cioè Domingo, non avendo le stesse qualità vocali costruì di più l’uomo-Otello scenicamente e musicalmente parlando. Vocalmente però Del Monaco è insuperato ed insuperabile perché non si sentirà mai più un declamato così scolpito ed incisivo ne acuti tanto saldi e squillanti, anche negli ultimi anni. Poi non ci sono stati solo loro, sulla scia di Del Monaco ci sono glorie del teatro come Pier Miranda Ferraro, Gianfranco Cecchele ed ancora Carlo Cossutta…ed altri, ognuno dei quali ha dato un’impronta personale a questa figura così universale.
Riguardo all’allestimento di Otello, pensa che sia giusto realizzare qualcosa di innovativo (ma intelligente) o bisogna attenersi al periodo storico indicato da Shakespeare e quindi da Verdi-Boito?
Come dicevamo prima Otello, e con questa anche altre opere di Shakespeare, è una tragedia universale, dramma dell’uomo e non di un uomo solo, allora da questo punto di vista penso si possa fare qualcosa di diverso rispetto alla tradizione. L’allestimento di Liegi, di cui ho visto i bozzetti ed i figurini, è molto bello costruito come una sorta di teatro nel teatro a voler dare l’idea che viene rappresentata una vera e propria tragedia teatrale, prima che opera in musica. La musica di Verdi è descrittiva delle passioni espresse dall’azione, tutto è tragedia anche ad un livello più astratto come quello musicale.
Voi cantanti italiani oggi siete purtroppo sempre più costretti ad andare all’estero a cantare, come vede questa situazione tragica che vive il nostro paese?
Purtroppo sono molto rattristato da ciò che sta accadendo qui, nel paese dell’opera e della cultura, una delle culture più ricche del mondo. Personalmente sono cresciuto nei teatri esteri, soprattutto in Germania e negli Stati Uniti ed ho potuto constatare il modo di lavorare degli altri paesi in ambito teatrale. Debuttai nel 1981 come Dr. Cajus in Falstaff e poi nell’84 come Gabriele Adorno con i complessi dell’opera di Genova in tournée estiva e nel 1986 avvenne il debutto importante come Licinio ne La Vestale a Jesi, poi ancora Cavaradossi ed Ernani all’Opera di Roma, Pollione Lyon, La cena delle beffe a Wexford e da qui cominciò la carriera internazionale grazie anche all’agente che aveva molti contatti all’estero. Il modo di lavorare dei teatri americani è molto diverso dal nostro poiché basano gran parte del loro budget su finanziamenti privati, i sovrintendenti cercano sovvenzioni dalle banche e dagli enti di maggior spicco. Da noi purtroppo tutto si basa sull’aiuto che viene dallo Stato, un aiuto che sta scemando sempre più economicamente ed anche umanamente, da noi non c’è alcun amore per l’arte e solo ciò che è popolare e di sicuro successo è premiato e sovvenzionato. Ci troviamo però anche in un paese in cui i teatri hanno spesso sperperato i soldi che avevano senza attuare, per esempio, un vasto giro di coproduzioni che consentono di spendere meno e di avere spettacoli per un periodo più lungo ed a livelli medio-alti. Bisognerebbe creare delle compagnie itineranti tra i vari teatri, proporre titoli popolari per invogliare le persone ad andare a vederli, poiché si è persa l’abitudine ad uscire per recarsi a teatro e si preferisce spesso stare a casa con un dvd o la televisione, ormai elemento imprescindibile dalla vita di ognuno.
Penso in particolare alla sua città…Genova, c’è una situazione abbastanza difficile per il Carlo Felice cosa ne pensa?
La situazione del Teatro di Genova è molto critica infatti, purtroppo non c’è una politica di valorizzazione della nostra offerta culturale perché ci sarebbe la possibilità di portare gente in teatro e far conoscere l’opera e la musica anche a chi magari non ne ha ancora avuto esperienza. Penso che potrebbero fare una convenzione tra Teatro ed Acquario in modo che le persone che vanno a Genova una giornata o due in gita possano assistere ad uno spettacolo doppio, quello musicale e quello della natura marina, a prezzi ridotti per far accorrere più persone possibili; è solo un’idea, ma almeno se ne sperimentassero di idee in Italia invece di restare ancorati alla situazione di degrado che c’è.
Se non sbaglio quest’anno sono 30 anni di carriera, e l’anno prossimo ricorre un’altra data importante per un cantante di fama internazionale, vuole dirci lei quale?
Sono fiero di compiere trent’anni di carriera e di essermi creato un’esperienza artistica e di vita che porterò per sempre con me, per la ricchezza di emozioni e di situazioni che ho vissuto. Nel 2012 ricorreranno venti anni dal mio debutto al Metropolitan avvenuto nel 1992 e li celebrerò in quel teatro ancora col Trovatore. Ho molti ricordi legati al più grande palcoscenico americano, Aida, Tosca, Don Carlos, Cavalleria Rusticana…ed in particolare Fedora con Mirella Freni che affiancavo come Loris nella sua ultima recita al Met.
La ringrazio per la sua disponibilità e per il tempo dedicato a quest’intervista che ci ha fatto capire come un cantante si appresti alla preparazione di un ruolo e quali siano le cose che contano di più in una carriera internazionale, e principalmente lavorare in una situazione di calma e di prosperità del teatro e dell’arte. A presto per Otello ed altri appuntamenti importanti…
Grazie a te per queste domande, a presto.
Intervista di Didier Pieri
sabato 23 aprile 2011
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